Il mio amico Dahmer di Derf Backderf

Se c’è una categoria di persone che è in grado di attirare l’attenzione di chiunque questa è la categoria dei serial killer. L’interesse per questi mostri fin troppo umani può avere moletiplici ragioni, e forse la prima è data proprio dal loro essere umani ed essere contemporaneamente in grado di compiere azioni orribili. Personalmente, sono una di quelle persone che va alla ricerca di tutti quei dettagli più macabri delle vicende che riguarda serial killer e simili. Gli stessi dettagli a cui siamo fin troppo abituati grazie al giornalismo moderno, il quale non si fa alcun problema di oltrepassare la linea del “forse questo non dovremmo mostrarlo in TV”.

Questa breve introduzione mi è servita per portare l’attenzione su una graphic novel che ho letto di recente: Il mio amico Dahmer di Derf Backderf. Si tratta di un fumetto scritto e disegnato da un ex compagno di liceo di Jeffrey Dahmer. E, come ogni graphic novel, la parte visiva è estremamente interessante. La prima cosa che si può osservare è lo stile dei disegni che richiama molto gli anni ’70, il che si incastra perfettamente nella finestra temprale prima inconsiderazione. Ma ancora più interessante sono le singole vignette. La disposizione è molto regolare ordinaria e questo crea un contrasto cruciale con ciò che accade all’interno di queste vignette. Anche la scelta del bianco e nero ha una sua funzionalità. Nonostante il simbolismo banale, per cui il bianco è associato a qualcosa di positivo e il nero al negativo, questa scelta risulta utile in una storia come quella di Dahmer. Il suo volto diventa spesso nero quando dei pensieri orribili gli attraversano la mente, o quando fa un’azione terribile. Questo simbolismo si rafforza nell’ultimo capitolo, quando lo sfondo stesso delle pagine è nero.

dahmer

La storia del cannibale di Milwaukee è stata narrata innumerevoli volte, ma questo è uno dei rari casi in cui abbiamo un punto di vista più vicino a personale. Quello che veniamo a conoscere non è tanto Dahmer il serial killer, quanto Dahmer il compagno di liceo. Vengono quindi ricostruiti gli anni dell’adolescenza, che Deft analizza cercando un significato che giustifichi i comportamenti di questo compagno.

Dahmer, da parte sua, è un ragazzo estremamente timido che difficilmente attira l’attenzione su di sé. Ma questo è solo quello che appare dall’esterno, perché in realtà dietro il “ragazzo strano e silenzioso” c’è d più. Dahmer passa parte del suo tempo sciogliendo piccoli animali nell’acido, ruba dalla scuola un feto di maiale che serviva per la lezione di biologia e intrattiene i suoi compagni facendo dei versi che si rivelano essere la parodia delle crisi epilettiche della madre. Ci sono già i primi segnici una personalità fuori dal normale. L’interesse per la violenza nei confronti  degli animali è una delle prime caratteristiche che accomunano vari serial killer, poi abbiamo i problemi di famiglia e l’isolamento che ne consegue. All’isolamento sempre crescente si unisce un altro elemento cruciale, l’omosessualità. Un’omosessualità che, a causa degli anni, veniva celata e ha forse portato Dahmer ad avere dei pensieri che non avrebbe dovuto avere, pensieri che non sapeva come combattere.

Inoltre, si fa strada nella sua mente l’idea di creare un proprio zombie personale. Una persona che sia completamente a sua disposizione e che non possa in alcun modo opporsi a lui. I tentativi per creare uno zombie sono orribili e vengono realizzati attraverso delle lobotomie casalinghe, fatte trapanando il cervello delle sue vittime e versandoci acqua bollente e acido muriatico.

Il cannibale di Milkwakee è un mostro a tutti gli effetti. Violenta le sue vittime, le uccide, pratica su di loro atti di necrofilia e li mangia. E Derf non giustifica in alcun modo Dahmer, nonostante questi possa facilmente apparire come una vittime: egli stesso sembra essere sollevato quando viene catturato perché non farà più male a  nessuno. Questo però non giustifica le sue azioni. Tuttavia, Derf non può trattenersi dal vederlo come un compagno di scuola, e quando viene a scoprire la verità è un brutto colpo. Nell’ultima tavola, quando si chiede “cosa hai fatto, Dahmer?”, compare tutta la familiarità che c’è tra di loro. Non è un “cosa ha fatto Dahmer?”, ma un “cosa hai fatto”, perché anche se non si sentono da anni, anche se non si conoscevano troppo, c’è comunque qualcosa che li unisce. C’è l’aver passato insieme anni della loro adolescenza che li unisce, e c’è anche la sensazione di essere stato vicino a qualcosa di orribile, come quando si riesce a sfuggire da una catastrofe. Lui ha parlato con Jeffrey, ci ha passato del tempo, e avrebbe potuto essere una sua vittima. Questa è la sensazione generale che rimane al lettore, il quale riesce ad immedesimarsi con Derf, viene quasi da domandarsi se anche noi abbiamo avuto qualche compagno di scuola che si è poi macchiato di crimini del genere. Speriamo di no.

Il lavoro di Derf porta anche un’altra riflessione. Molti si sono chiesti come è possibile che i suoi compagni di scuola non si fossero accorti di niente, ma per Derf la domanda più importante non è tanto dove erano i compagni di scuola, ma dove erano i professori. Dove erano gli adulti? Perché nessuno si è accorto di niente? Perché nessuno è intervenuto quando Dahmer si presentava a scuola ubriaco? Queste domande hanno un riflesso più raccapricciante quando vengono seguite da un’ulteriore domanda: tutto questo poteva essere evitato?

 

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