Bruges la morta di Georges Rodenbach era sulla mia lista di libri da leggere da tempo, quando vidi il volume masi fa, ma solo a Natale sono riuscita a farmelo regalare per poterlo finalmente leggere. L’unica cosa che sapevo della storia è che il protagonista, Hugues Viane, un inconsolabile vedovo, decide di trasferirsi nella città di Bruges dopo la morte di Ofelia, sua moglie. Niente di più. In realtà avevo letto anche qualche estratto, e devo dire che sono bastate poche righe a farmi capire che questo libro sarebbe stato molto bello.
Se siete amanti del cinema e se conoscete Hitchcock, la storia vi risulterà familiare, perché da questo breve romanzo del 1892 è stato tratto il film La donna che visse due volte (1958). La prima cosa che notiamo è l’importanza che questa città ha, perché con i suoi cieli grigi e le sue atmosfere pesanti, rappresenta benissimo le emozioni di Hugues Viane. La scelta di Bruges non è stata infatti casuale, ma è stata dettata proprio dal fatto di ritrovare in questo luogo un ambiente perfetto per vivere il lutto. Viane crea nella sua casa una sorta di mausoleo, in cui vengono conservati tutti gli oggetti che in qualche modo erano della moglie, e in particolare una treccia di capelli, l’unica cosa lasciata intatta dalla morte. Tuttavia, qualcosa cambia quando durante la passeggiata quotidiana Hugues vede una donna identica alla moglie defunta. Naturalmente decide di conoscerla e di cominciare con lei una storia d’amore, storia che ai suoi occhi non viene vista come tradimento per la moglie amata, dal momento che lld due oso identiche. Un giorno Hugues decide di fare una cosa, non immaginando che tale azione potesse avere delle conseguenze decisamente opposte a quelle che immaginava, e decide di far indossare alla nuova donna un vecchio vestito della moglie. Questo doveva essere un atto estremo con cui avrebbe riportato in vita l’immagine, ancora più somigliante, della moglie, ma si rivela essere un’azione che paleserà la differenza tra le due. Vedere un’insulsa ballerina di teatro indossare l’abito che, per lui, è appartenuto ad una Santa farà dissuadere quasi tutto il sentimento amoroso provato per lei, ma non del tutto. Hugues si trova quindi di fronte a questa donna che è e al tempo stesso non è sua moglie. Le loro immagini sono identiche, ma lei ha un comportamento troppo frivolo, iroso e capriccioso, e si appropria dell’immagine di Ofelia, desacralizzando il ricordo che lui custodiva. Durante la vicenda seguiamo il cambiamento del protagonista che, inizialmente guidato dalla disperazione, sembra finalmente trovare qualcosa che possa portare gioia nella sua vita, anche se poi ciò si dimostrerà una mera illusione.
Come detto prima, la città è la protagonista della storia, è lo scenario perfetto e consapevole di questa tragedia. Il libro pullula di descrizioni dei palazzi, delle guglie e delle chiese, che aiutano ad esprimere e ampliare i sentimenti del protagonista, creando un simbolismo che ricorda quello di Cime Tempestose (1847). Inoltre, l’accostamento tra Ofelia e la città spiega la scelta del titolo, in cui le due vengo affiancate: Bruges la morta. Le descrizioni che vengono fatte sono molto evocative e poetiche (di cui la copertina scelta per la nuova edizione della Fazi è un’ottima anticipatrice), e ci mostrano una città estremamente legata alle sorti di Hugues Viane.
Uno dei temi che viene affrontato è certamente quello del doppio, di cui la letteratura offre innumerevoli esempi (il primo che mi viene in mente è William Wilson (1839) di Edgar Allan Poe) e quello della creazione o perfezionamento della donna amata. Molto spesso in letteratura avviene un paradosso molto interessante: anche se le donne sono al centro dell’attenzione dei protagonisti a loro non viene data nessuna attenzione e il protagonista riempie un involucro delizioso con le sue aspettative e richieste. Spesso accade che il protagonista di una storia si innamori di una donna di cui non sa niente, semplicemente guidato dall’aspetto fisico, e a cui decida di attribuirle caratteristiche estremamente positive che neanche le appartengono. Basti pensare al rapporto tra Frédéric Moreau e la Signora Arnoux ne L’educazione sentimentale (1869) di Gustave Flabert, o il rapporto tra Charles Swann e Odette nel primo volume di Alla ricerca del tempo perduto (1913) di Marcel Proust. Alcune volte abbiamo poi un uomo che decide di voler innalzare la donna che, per sua natura, non è particolarmente brillante, come nel caso di Senilità (1898), in cui Emilio Brentani vuole rendere più colta Angiolina Zarri. In quasi tutti i casi l’uomo fallisce nel vedere la donna di cui ha deciso di innamorarsi come quella che realmente è, rendendola semplicemente una bambola a cui attribuire le caratteristiche volute.
In conclusione, si tratta di un romanzo che mi è piaciuto molto. È una di quelle storie pesanti e negative (tipiche del Decadentismo), in cui non si ha un lieto fine. Anche solo per le atmosfere è una lettura da fare.