Parlare di un libro come La scopa del sistema è abbastanza complicato. Ci troviamo di fronte ad un autore molto famoso e di cui molto difficilmente si sente parlarne male. Inizialmente ero intimorita all’idea di cominciare un autore così importante, principalmente per il fatto che non sapevo bene da quale opera cominciare, ma poi ho deciso di concentrarmi sul suo primo romanzo.
Penso che sia sbagliato cominciare a parlare di questo libro partendo dalla trama, per il semplice fatto che questa non risulta essere così importante, senza contare il fatto che è difficile riuscire ad identificare una vera e propria linea guida che ci accompagna durante il romanzo. Quello che posso dirvi è che ci troviamo nella vita di Leonore Breadsman in un momento in cui cominciano ad accadere delle cose strane: sua nonna, che ha il suo stesso nome, scompare dalla casa di riposo in cui si trovava insieme ad un’altra ventina di pazienti; le linee telefoniche del centralino in cui lavora vanno in tilt, rendendo il suo lavoro molto più complicato; e infine il suo pappagallino, Vlad L’impalatore, comincia a parlare senza sosta, ripetendo molte delle cose che sente, motivo per cui verrà considerato dalla padrona di casa come un profeta di Dio. Se pensate che questo sia strano è perché non avete ancora incontrato i personaggi che vivono in queste pagine. Si tratta di personaggi particolari, a volte grotteschi e a volte inadeguati, sembra di entrare in un circo in cui vengono esasperati le paure e i sentimenti dell’uomo.
La filosofia è centrale, La scopa del sistema riflette infatti parte dell preparazione accademica di David Foster Wallace, benché poi le sue opere siano più orientate alla fiction. Tuttavia il tema centrale di questo libro, se proprio bisogna identificarne soltanto uno, è di natura filosofica e riguarda non solo la nostra identità, ma anche la nostra libertà di scelta. Nel romanzo compare più volte l’opposizione tra l’Io e l’Altro, o l’Esterno; è qualcosa con cui ognuno di noi deve confrontarsi e a cui ognuno di noi trova una sua personale soluzione. Per alcuni personaggi questa soluzione sfocia nel grottesco, come per Norman Bombardini, che si mette in testa di mangiare senza sosta con lo scopo di diventare enorme, in modo da poter riempire l’Universo con l’Io. Affiancato a questo problema c’è quello relativo a quanta scelta abbiamo effettivamente, in che quantità ciò che è esterno da noi ci influenza, ma ancora più importante, quando agiamo in quanta parte questa scelta è fatta dalla nostra volontà e in quanta parte siamo influenzati da altri. Personalmente è una questione che sento molto vicina, e penso possa aver aiutato molto anche i fatto di aver letto questo libro alla stessa età a cui Wallace l’ha scritto.
Oltre alla filosofia l’altra grande protagonista di questo romanzo è la parola e come questa influenzi la realtà, proprio dalle parole di Leonore intuiamo questo rapporto, è infatti lei a dire che “piuttosto che la vita è il suo racconto”. Anche il racconto svolge quindi un ruolo essenziale nella storia, abbiamo infatti vari racconti che ci vengono narrati da Rick, il ragazzo di Leonore. Tornando alla parole, i riferimenti a Wittgenstein sono diretti, la nonna di Leonore ha inoltre studiato insieme al famoso filosofo e questo fatto viene sottolineato giù volte. Le parole diventano quindi uno strumento che possiamo usare per indagare la realtà e per capirla, e questo romanzo ci mostra più volte quanto queste possano essere forti. Come già detto, questo è il primo libro che leggo di David Foster Wallace, ma penso che possa essere un ottimo modo per conoscere questo autore, il libro non solo è breve, ma affronta anche uno dei temi principali con cui ogni persona deve combattere, e può farci sentire meno soli sapere che non siamo gli unici ad essere divorati da questo dilemma. Non è un libro che si pone con lo scopo di darci delle risposte, quanto piuttosto di usare le parole in modo da poterne dare una descrizione molto originale.