Il mio obiettivo, che consiste nel leggere tutti i romanzi di Jane Austen, sta andando molto bene. Nell’ultimo periodo ho letto Northanger Abbey, pubblicato postumo nel 1818, quindi adesso mi manca solo Mansfield Park (1814).
Dal momento che si parla di Jane Austen mi sembra quasi inutile parlare di quanto i personaggi siano belli. In questo caso però l’aggettivo “belli” non indica personaggi meraviglio di cui ci si innamora, come in Orgoglio e pregiudizio (1813) o Ragione e sentimento (1811), quanto piuttosto dei personaggi molto realistici e che suscitano emozioni forti. Queste emozioni sono principalmente irritazione e odio, ma è comunque un buon segno della capacità di uno scrittore riuscire a suscitare tali reazioni nel pubblico dei lettori. Ci sono alcune situazioni in cui ho dovuto chiudere il libro, perché stavo per leggere una situazione esasperante o una scena in cui un personaggio particolarmente odioso, riusciva a manipolare completamente la nostra eroina. Il termine “eroina” ha un’accezione particolare in questo romanzo, ci troviamo infatti di fronte ad una protagonista molto giovane, quindici anni, la cui poca esperienza in società e nei sentimenti, la porta a non comprendere pienamente molte delle cose che stanno succedendo. La voce narrante la chiama continuamente, e con ironia, l’eroina della nostra storia, ma ad ogni pagina appare chiaro come Catherine sia così lontana dal ricoprire questo ruolo. Il suo modo di essere è in parte legato al fatto che la sua famiglia non vive in una grande città, ma in campagna, appare quindi possibile identificare un collegamento importante tra il luogo in cui personaggi si trovano e crescono, perché questo risulta essere importante per la loro formazione. Catherine, che viene dalla campagna, ha infatti un carattere molto buono e fin troppo innocente, a lei si contrappone l’amica Isabelle, che invece ha un atteggiamento molto più sfrontato e non del tutto positivo. Il rapporto tra le due sarà molto importante e il suo sviluppo sarà presente per tutto il romanzo.
Durante la lettura di questo romanzo ci troviamo molto spesso davanti a titolo di libri gotici a cui vengono fatti anche molti riferimenti. Anche nella trama ritroviamo degli elementi tipici del romanzo gotico, ma non completamente. Mentre nella prima parte della storia quei libri sono solo citati, nella seconda questi cominciano ad avere un influsso più importante nelle vicende di Catherine. Come prima cosa lei andrà in viaggio all’Abbazia di Northanger, ci troviamo quindi in uno dei luoghi tipici della letteratura gotica, e cominceranno ad accadere fin da subito delle cose strane. Tuttavia, quando ci troviamo di fronte a questa abbazia ci accorgiamo subito che qualcosa non quadra. L’abbazia non è infatti antica e spaventosa come quella dei romanzi, ma è invece stata rinnovata di recente, non sembra neanche di trovarsi in un’abbazia.
Mentre si avvicinavano alla fine del viaggio, la sua impazienza di vedere l’abbazia, che per un po’ era stata messa da parte da quella conversazione su argomenti molto diversi, si riaffacciò con tutta la sua forza, e a ogni curva della strada si aspettava con reverente timore di poter dare un’occhiata alle sue mura massicce di pietra grigia, che si elevavano in mezzo a boschi di antiche querce, con gli ultimi raggi di sole che giocavano in fascinoso splendore sulle alte finestre gotiche. Ma l’edificio era così in basso, che si ritrovò ad attraversare i grandi cancelli d’ingresso, e a giungere proprio a Northanger, senza aver visto nemmeno un antico comignolo. […]
Un’abbazia! sì, era bellissimo essere davvero in un’abbazia! ma ebbe qualche dubbio, mentre si guardava intorno nella stanza, sulla possibilità di rendersene conto da ciò che stava osservando. In tutto il mobilio c’era la profusione e l’eleganza del gusto moderno. Il camino, per il quale si era aspettata l’ampiezza e l’intaglio massiccio dei tempi passati, era ridotto a un Rumford, con lastre di marmo semplici, anche se belle, e con sulla mensola oggetti della migliore porcellana inglese. Anche le finestre, alle quali guardò con particolare speranza, dato che aveva sentito dire dal generale che era stata preservata la loro forma gotica con cura reverenziale, avevano meno di quanto si fosse immaginata. Certo, gli archi ogivali erano stati preservati, la forma era quella gotica, potevano anche avere i battenti, ma i vetri erano così grandi, così trasparenti, così luminosi!
Le cose che avvengono di notte, e non solo, sono oltre modo esagerate da Catherine che, influenzata dai libri letti, si aspetta di ritrovare in quel luogo alcune delle costanti dei suoi libri preferiti. La pioggia e la notte diventano complici di queste congetture, ma tutto viene poi smentito alla luce della mattina. Jane Austen mette in scena una parodia dei romanzi gotici, sottolineando anche come alcune delle situazioni che ci si trovano siano eccessivamente stravaganti per essere reali. Tuttavia questo atteggiamento non è dettato da un’avversione verso questo genere letterario, Jane Austen era infatti una grande estimatrice di Ann Radcliffe, quanto piuttosto dalla volontà di portare proprio verso il romanzo gotico l’attenzione del lettore.
La voce narrante di questo romanzo è molto particolare, perché ci narra la vicenda, ma a questi punti alterna dei commenti, anche personali, sui personaggi, specie su quello di Catherine, o anche affermazioni più personali per quanto riguarda argomenti più generali, come ad esempio il ruolo dei romanzi nella letteratura, o anche l’importanza eccessiva che viene data ai vestiti dalle donne.
L’abbigliamento è sempre un modo frivolo per distinguersi, e l’eccessiva sollecitudine al riguardo ha spesso un effetto contrario a quello voluto. Catherine lo sapeva benissimo; la prozia le aveva letto un sermone sull’argomento proprio il Natale appena passa- to; eppure il mercoledì sera rimase sveglia per dieci minuti in- certa tra il vestito di mussolina a pois e quello ricamato, e nulla se non la mancanza di tempo le impedì di comprarne uno nuovo per la serata. Sarebbe stato un errore di giudizio, grande ma non raro, dal quale qualcuno dell’altro sesso più che del suo, un fratello più di una prozia, avrebbe potuto metterla in guardia, poi- ché solo un uomo può essere consapevole dell’insensibilità di un altro uomo per un vestito nuovo. Sarebbe umiliante per i senti- menti di molte signore, se fossero in grado di capire quanto po- co il cuore di un uomo sia colpito da ciò che è nuovo o costoso nel loro abbigliamento; quanto poco si curi della trama di una mussolina, e come sia immune da particolari tenerezze nei con- fronti di quella a pois, con ricami floreali, leggera o pesante. Una donna è elegante solo per soddisfare se stessa. Nessun uomo l’ammirerà di più, a nessuna donna piacerà di più per questo. Un aspetto curato e alla moda bastano al primo, e qualcosa di trasandato o inappropriato è ciò che suscita più benevolenza nella seconda. Ma nessuna di queste gravi riflessioni turbò la tranquillità di Catherine.
Da questi commenti appare un’immagine più definita dell’autrice, che ne approfitta per rendere più evidente la sua critica verso alcuni costumi della società. La necessità di questo narratore deriva da dal fatto che la protagonista è troppo inesperta per farsi portavoce di queste osservazioni.
In conclusione, il romanzo risulta essere atipico per alcuni aspetti da quello che ci si aspetta da Jane Austen. Lo stile e i personaggi sono sempre meravigliosi, ma questa volta abbiamo un narratore più forte e l’attenzione viene dirottata verso argomenti diversi, benché si trovino comunque le tematiche più classiche. È un romanzo che allontana l’autrice dall’immagine che tutti ne abbiamo e ce ne fornisce una visione più complessa e in cui, attraverso la voce narrante, viene data più forza alla sua voce e alle sue opinioni.