N0S4A2 (2013) by Joe Hill

Facciamo un viaggio a Christmasland

*La seguente recensione contiene degli spoiler minori e spoiler grossi – adeguatamente segnalati*

Joe Hill è uno scrittore che mi ha incuriosito per parecchio tempo, ma avevo avuto sempre dei dubbi da quale suo romanzo cominciare, per paura di avere una brutta esperienza che mi avrebbe precluso, almeno fino al secondo tentativo, degli ottimi libri da leggere. Sono stata fortunata e la mia prima scelta è ricaduta sul romanzo N0S4A2. Diciamo che, oltre alla recensione di Andrea Pennywise [di cui potete trovare la recensione a questo link https://www.youtube.com/watch?v=ljftoPCtQeg], anche il periodo delle feste mi ha convinta a buttarmi in questa avventura di 650 pagine nonostante la sessione di esami sia imminente. Dal momento che ero scettica, cosa che mi accade spesso quando devo intraprendere delle lunghe avventure come questa, ho deciso di scaricarmi l’estratto per il Kindle, in modo da avere una breve anteprima che mi permettesse di avere già in mente qualcosa sul romanzo. Cosa posso dire? Dopo il primo capitolo (della lunghezza di tre pagine) ho dovuto comprare il cartaceo. Il motivo è molto semplice: già da queste prima pagine si capisce che si tratta di una storia ben scritta a cui è impossibile resistere.

Il primo capitolo si apre in questo ospedale, dove l’infermiera Thornton sta portando una sacca di sangue ad un suo paziente, che si trova in uno stato comatoso simile alla morte da molto tempo. Veniamo subito catapultati dentro la mente di questa donna che, dato il periodo natalizio, è alle prese con i reali da comprare al figlio. Questo tranquillo flusso di pensieri viene interrotto bruscamente quando l’infermiera nota che gli occhi del suo paziente, Charlie Manx, un pedofilo per quel che ne sappiamo fino ad ora, sono aperti. Inizialmente la donna pensa che si tratti di qualcosa di involontario, ma quando cerca di chiudere gli occhi di Manx questi le ferma la mano e dice una frase che spaventerebbe tutte le mamme del mondo:

Tuo figlio Josiah. C’è un poso per lui a Christmasland, con gli altri bambini. Potrei dargli una nuova vita. Potrei dargli un bel sorriso nuovo. Potrei dargli dei bei dentini nuovi.

Subito pensiamo a mille cose: come fa a sapere il nome di Josiah? Come mai si è mosso e ha parlato se, dal punto di vista medico, non dovrebbe essere in grado di farlo? Cosa è Christmasland? Tutte domande che contribuiscono già nelle primissime pagine a metterci una certa paura addosso. Da qui in poi la storia continua con un lunghissimo flashback. Torniamo nel 1986, eravamo partiti nel 2008 (e questa sembra la pubblicità di Italia 1 per la maratona di Ritorno al futuro). Questa volta l’attenzione viene concentrata su un altro personaggio: Vic. Gran parte del romanzo si basa infatti sulla sua vita, nel quale non vengono a mancare strane esperienze che si ricollegheranno poi con Charlie Manx. Se devo essere sincera, questa è una cosa che non mi aspettavo e che mi ha lasciato un attimo sorpresa. Da come ci era stata presentata l’infermiera Thornton e suo figlio, pensavo che la storia si basasse principalmente su di loro. Questo “deragliamento” è stato dovuto, almeno per me, dal fatto che Joe Hill ci presenta madre e figlio dandoci molte informazioni. Questa è una cosa che lo accomuna molto a King, ovvero il fatto che un personaggio ci viene presentato per qualcosa di molto particolare, come un ricordo che ha,  per una sua abitudine o modo di dire. La presentazione dei personaggi non è sempre così, anzi, lo è molto raramente. Joe Hill invece, come il padre, si concentra molto su personaggi che magari non avranno un ruolo fondamentale all’interno della storia. Inutile dire che questo “dettaglio” è un elemento che aggiunge un realismo incredibile a tutti i personaggi che incontriamo. Detto questo non è difficile intuire quanto Vic, su cui il libro di concentra maggiormente sia presentata in maniera molto dettagliata. L’abbiamo vista fin da bambina e l’abbiamo seguita durante le fasi più difficili della sua vita. Naturalmente, questo grande approfondimento del personaggio è reso possibile anche dal fatto che il libro risulta essere abbastanza sostanzioso. Si tratta di una cosa assolutamente positiva, perché l’autore ha tutto il tempo che vuole per soffermarsi sui personaggi, permettendo così al lettore di conoscerli e immedesimarsi in loro. Per quanto riguarda la lunghezza del libro avrei solo un’altra cosa da dire, che mi viene da dei commenti che mesi fa vidi per quanto riguardava IT: alcune persone avevano commentato affermando che non servivano 1200 pagine per quella storia, sostenendo quindi che sarebbe stato possibile renderla in molte meno. Penso che da una parte sia vero, tutte quelle pagine non ti servono per far accadere quelle cose, ma sono necessarie se si vuole che il romanzo abbia quella intensità.

Detto questo vorrei continuare a parlare anche un poco di Vic e della maternità. In questo romanzo si parla spesso di mamme (anche se, ovviamente, non tutti i personaggi femminili lo sono) e Joe Hill si è preoccupato di presentarcene un’ampia sfaccettatura: abbiamo quella che non si preoccupa della figlia e che potrebbe rovinarle il futuro, quella che invece anche in una situazione di panico riesce a mantenere la mente fredda e riesce a infondere sicurezza agli altri, quella che incasina tutto con la droga etc. Si tratta di madri che la maggior parte delle volte non sono sempre perfette, ma forse proprio per questo sono più reali. Anche Vic ci viene presentata come madre e in lei possiamo vedere come l’amore per il figlio sia profondo, anche quando si ha paura di non dimostralo abbastanza. Trovo inoltre interessante che la protagonista venga presentata coma una persona “sbadata”, che non ne fa una giusta, dal momento che il rapporto che Joe Hill ha con la propria madre sembra molto positivo. Inoltre ho trovato molto affascinante come un uomo riesca a mettersi nei panni di una madre e mostrare il mondo attraverso i suoi occhi, rappresentazione che io ho trovato più che mai veritiera.

Mi sembra ora alquanto doveroso soffermarmi sull’altro grande protagonista della storia, che non è tanto Charlie Manx, quanto Christmasland. Questo posto ideale, dove è sempre la vigilia di Natale sembra essere un paradiso, ma ci accorgiamo fin da subito che non è così, basta infatti guardare tutte le cose inquietanti che lo circonda, da Manx stesso, a Gasmask man, alla vecchia Rolls Royce. Nonostante durante tutto il romanzo si parli, quasi continuamente di andare a Christmasland o di persone che ci sono andate o ci stanno andando, Hill è stato molto furbo a non presentarci subito questo posto. È infatti solo nelle ultime pagine del romanzo che arriviamo lì, e tutta l’attesa non ha fatto altro che aumentare a dismisura l’ansia per questo posto che, sembra, non si raggiunga mai (ad un certo punto ho anche pensato che i protagonisti non ci sarebbero arrivati per niente). Inoltre, il fatto che questo luogo ci venga presentato in maniera quasi sbrigativa ci ha permesso di avere solo un piccolo e inquietante scorcio. Se invece avessimo trascorso lì gran parte del romanzo, penso che dopo poco la tensione e l’orrore sarebbero diminuite, in questo modo invece, sono portati al massimo.

Adesso invece voglio parlare un attimo di Manx. C’è una cosa in particolare che mi ha molto affascinato di questo personaggio, ovvero il fatto che, pur facendo qualcosa di orribile come allontanare i bambini per sempre dalle loro famiglie, è convintissimo di fare del bene. Fino alla fine lui è convinto di quello che fa e riesce solo a vederlo come un atto di bontà nei confronti di bambini che altrimenti avrebbero una vita orribile, rovinata da genitori poco competenti. Sono del parere che questo punto di vista non sia tanto distante, almeno in alcuni casi, da quello che molte persone, come ad esempio i pedofili, fanno. Non conosco in maniera approfondita come una perversione del genere funzioni (anche perché penso servirebbero anni a capire quali sono esattamente i meccanismi che ci sono dietro ad ogni caso), tuttavia penso che questa idea di fondo non sia del tutto sbagliata e che spesso, quando una persona fa del male, è mosso da buone intenzioni, o almeno cerca di convincersi che sta facendo del bene, anche quando palesemente non è così.

Parliamo ora del finale (e in questo caso aspettatevi degli spoiler, se quindi non avete letto il libro non continuate a leggere qui, penso che ormai vi siate fatti una buona idea su cosa ne penso di questo libro). Cosa dire di come è finito questo libro? Come prima cosa devo dire che sono contenta non ci sia stato un happy ending, almeno non in maniera completa. Per quanto mi sia dispiaciuto per la morte di Meggie e di Vic, specie perché le loro vite sono state così difficile e sarebbe stato bello vederle arrivare ad una vita migliore, mi è piaciuto che il finale non sia troppo allegro. Si tratta comunque di un finale positivo, Wayne viene liberato per sempre dalle mani di Manx, Lou riesce a prendere in mano la propria vita, riuscendo ad evitare di diventare come il padre e i bambini intrappolati a Christmasland vengono liberati. È vero, dopo tutto si può definire questo un buon finale che viene permesso dal sacrificio di Vic, un sacrificio che non è soltanto suo come madre, ma che è quello che tutte le madri dei bambini avrebbero fatto. In questo modo non penso sia un errore definire Vic come la madre di tutti quei bambini persi a Christmasland. Quindi, è di nuovo l’amore materno che riesce ad aggiustare ogni cosa una volta per tutte.

Per finire vorrei passare a due elementi, più tecnici di questo romanzo che ho apprezzato molto. Il primo è il fatto che ogni capitolo abbia come titolo una collocazione geografica. Sembra una cosa da poco, ma in questo modo Joe Hill evita di spiegarci, all’inizio di ogni capitolo, dove ci troviamo, e noi siamo già con la mente a quel luogo. C’è inoltre da tenere presente che in alcuni punti, dal momento che ci si sposta da un posto all’altro (magari all’interno di una casa), abbiamo il capitolo che finisce con il protagonista che si trova in una stanza e la frase termina con i punti di sospensione, e quando andiamo a leggere il seguito vediamo che il titolo, con la sua collocazione geografica, termina la frase che era stata lasciata in sospeso. La scrittura in questo modo spinge il lettore a leggere il capitolo successivo, perché parliamoci chiaro, penso che l’incubo di ogni lettore sia arrivare a fine capitolo e trovare dei puntini di sospensione, senza sapere cosa accadrà poi. La seconda cosa che invece mi è piaciuta molto è il fatto che questo libro sia molto completo. Durante tutta la storia ci vengono fornite più volte lo stesso avvenimento da punti di vista diversi. In questo modo non solo riusciamo a colmare dei buchi che un punto di vista ci limita, ma abbiamo anche l’occasione di vedere in maniera più attenta quale è la reazione dei personaggi. Ad esempio, poniamo caso che tra il personaggio A e il personaggio B ci sia una conversazione telefonica. Un modo di narrare questa conversazione sarebbe presentando di seguito quello che dice A e quello che dice B. Joe Hill invece prima ci fa vedere la conversazione da parte di A, dicendoci quindi quello che A sta facendo e quello che dice, poi nel capitolo successivo ci ripresenta la stessa scena, ma questa volta dalla parte di B. Sappiamo quindi quello che dice B e quale è la sua reazione. Di nuovo l’autore si prende tutto il tempo che gli serve per mostrarci il comportamento dei suoi personaggi.

In conclusione, penso che questo romanzo di Joe Hill sia veramente fantastico e che meriti. Sia dal punto di vista tecnico, sia dal punto di vista dei personaggi e della vicenda è un romanzo completo che può essere apprezzato da diversi tipi di lettori. Penso che anche Joe Hill sia un autore che valga veramente la pena di approfondire e su cui possiamo contare per qualche prossimo capolavoro.

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