Sarò sincera, la prima cosa che ho notato di questo libro è stata la copertina, ma poi non mi sono incuriosita e non ho letto la quarte di copertina, anche perché in libreria stavo cercando altro. Ho conosciuto meglio questo libro guardando la recensione di Andrea Pennywise e dopo aver avuto un chiarimento maggiore sul genere del libro e sulla trama me ne sono subito incuriosita e l’ho comprato il giorno dopo.
La situazione iniziale è molto semplice e può sembrare anche troppo “banale” per la sua semplicità. Quello che stiamo per leggere è il resoconto di uno dei membri della dodicesima spedizione nell’Area X. L’inizio può veramente sembrare banale, ma in realtà non è così, perché non penso sia umanamente possibile immaginare quello che succederà più avanti nella storia. Queste spedizioni sono volute dal governo che cerca di capire meglio quali sono le entità di una catastrofe, mai specificata, che si è abbattuta in questa particolare zona. Nel particolare a questa spedizione partecipano quattro donne: la biologa, che poi sarà la nostra voce narrante, la psicologa, che ricopre il ruolo di leader, l’antropologa e la topografa.
La prima osservazione che mi trovo a fare riguarda principalmente lo stile e il narratore. La storia ci viene raccontata in prima persona dalla biologa, il fatto che la vicenda ci venga raccontata in prima persona da chi ha vissuto questa esperienza risulta essere molto simile allo stile che possiamo trovare in Edgar Allan Poe (sì, torno sempre lì) e questo permette di creare una forte empatia tra il lettore e la protagonista. Ci avviciniamo allo stile di Poe ancora di più quando la biologa vuole sottolineare quanto per lei sia importante che la nostra opinione su di lei sia buona e che la crediamo una persona con la mente fredda e che la sua narrazione sia completamente oggettiva. Questo è un clichè della letteratura, in particolare horror, dove proprio la volontà del protagonista di mostrarsi oggettivo accresce nel lettore l’idea che in realtà non ci si può fidare degli occhi che ci stanno mostrando quel mondo.
So che scoprire queste informazioni non sarebbe difficile per nessuno, ma speravo che, leggendo il mio resoconto, avreste potuto considerarmi una testimone credibile, obiettiva non una che è partita volontaria per l’Area X a causa di un’altra circostanza che esula dallo scopo delle spedizioni. [pag.54]
Continuando a parlare del punto di vista, il fatto che ci venga proposto quello della biologa è particolarmente interessante nel momento in cui ci rendiamo conto che effettivamente la visione che ci viene data di questo mondo è criptata attraverso gli occhi di una persona che conosce il funzionamento dei meccanismi viventi e che quindi analizza il mondo che la circonda in questa chiave. Leggendo il resoconto ci viene da domandarci in che modo la storia sarebbe stata narrata se invece del suo punto di vista avessimo quello della psicologa o dell’antropologa o dalle topografa.
Durante la storia ci viene suggerito anche in maniera diretta che i ricordi della biologa possano essere stati modificati attraverso l’ipnosi. Nonostante le storie della vita prima della spedizione vengano usati dalla biologa per accertare la sua lucidità e oggettività, è interessante notare come contemporaneamente ci venga suggerito che si tratti di finzione. Non abbiamo quindi la certezza che quello che ci viene raccontato sia effettivamente quello che è successo, questo naturalmente mette in dubbio tutto quello che ci viene detto e rende tutta la storia più interessante perché come già detto, ci appare chiaro che ci sono più visioni di quello che è successo nella dodicesima spedizione e di quello che i suoi membri hanno visto.
Un tratto stilistico che avvicina questo autore a Stephen King è l’utilizzo di frasi, scritte sempre in corsivo, che appaiono nella narrazione (in questo caso sono scritte nella Torre). Fin dall’inizio ci viene spiegato quello che sta succedendo, anche se non ci vengono forniti gli strumenti che ci permettano effettivamente di capirlo. Pian piano l’autore ci fornisce tutti i dettagli e quando alla fine ci propina per l’ennesima volta la stessa frase siamo in grado di attribuirgli il vero significato. Trovo che sia una cosa molto affascinante, perché ci rendiamo conto che è inutile avere la risposta finale se non conosciamo tutti gli indizi. Oltre a Stephen King è abbastanza facile notare anche la somiglianza con alcuni racconti di Lovecraft, specie per quanto riguarda le atmosfere dei posti e le creature mostruose che non ci vengono descritte mai direttamente, ma solo attraverso suoni o solamente come ombre fuggevoli nella notte.
Nonostante l’ambientazione sia propriamente fantascientifica il romanzo affronta anche un altro tema importante ovvero la volontà della biologa si superare la perdita del marito. Questo percorso la aiuta a capire quali sono stati i suoi errori e a capire meglio cosa può aver portato il marito a farsi volontario per la spedizione precedente. C’è quindi una crescita della protagonista che capisce meglio di prima il sentimento di amore per il marito e che cerca di creare un legame, seppure solo ideale, con il marito.
La cosa probabilmente più affascinante di questo romanzo è il fatto che quando lo leggiamo ci poniamo tante domande, ma a nessuna di queste viene data una risposta. Ad ogni indizio ci viene fornita la teoria delle biologa che si è premurata di raccontarci la sua esperienza, ma non abbiamo mai delle certezze. Il romanzo, essendo strutturato come un resoconto, non ci permette di collocare temporalmente l’accaduto e quindi è bello perdersi immaginando che potrebbe essere qualcosa che sta succedendo anche adesso o che potrebbe essere un prossimo futuro. Alla fine la storia è aperta e questa è una delle cose che ho preferito. È un libro che consiglio a chi è amante della fantascienza e anche dell’horror, questo libro è il perfetto connubio tra i due generi.
Un pensiero riguardo “ANNIENTAMENTO – Jeff Vandermeer”