Genere: romanzo
Anno di pubblicazione: 2013
Pagine: 392
Sarò sincera, ho deciso di comprare questo libro anche se non avevo finito di leggere la trama sul retro, perchè ho letto due parole che mi hanno presentato uno scenario che sicuramente mi sarebbe piaciuto. Le parole chiave sono: Ottocento, perchè trovo questo secolo molto affascinante e mi piace molto come ambientazione per una storia, e manicomio/pazzia, mi piace sempre quando c’è di mezzo la sanità mentale di una persona.
La storia parla di una donna, Anna, che viene rinchiusa in un manicomio dal marito, dopo che lei era andata in aiuto dei superstiti di un naufragio. Il libro comincia quando Anna viene portata in questo centro di igiene mentale e grazia a qualche flash-back l’autrice si occuperà di disegnare il quadro per intero, spiegandoci cosa è accaduto esattamente e mettendo in luce alcuni aspetti della vita di Anna. Durante il romanzo si incontrano le storie di più personaggi, tra cui la figlia del padrone del manicomio e un giovane medico intento a dimostrare una sua teoria per la diagnosi delle malattie mentali.
Il libro mi è piaciuto, la storia presenta delle situazioni che nel 1800 erano troppo comuni, come ritrovarsi in un manicomio anche se non si soffriva di alcun tipo di malattia mentale o anche il fatto che le persone di chiesa non necessariamente si comportano come dovrebbero. Mi è piaciuto molto il fatto che non ci sia stata la storia d’amore, sarebbe stato fin troppo banale anche perchè ci sono i personaggi perfetti per crearla, ma fortunatamente l’autrice ha deciso di lasciare alla protagonista la sua indipendenza. Una sola cosa che non mi ha convinto troppo è il fatto che in qualche situazione vengono usate delle espressioni che non penso venivano usate nel 1800, mi rendo conto che sarebbe praticamente impossibile scrivere un romanzo usando lo stesso registro linguistico di più di un secolo fa, ma allo stesso tempo stonano molto delle espressioni che palesemente non si usavano.
Voto ●●●○○